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Allarme lanciato dall’America

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Un essere umano può sopravvivere praticamente a tutto, purché veda la fine in vista. Ma la depressione è così insidiosa, e si aggrava quotidianamente, che è impossibile vederne la fine…

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IL LATO INSTAGRAMMABILE DELLA DEPRESSIONE

depressione instagramDimmi come posti e ti dirò come stai. Volendo trovare un titolo ‘notiziabile’ ed accattivante al lavoro dei ricercatori Andrew Reece della Harvard University e Chris Danforth della University of Vermont sull’uso del social network Instagram si potrebbe riassumere così il senso della loro analisi che nel 2016 si impose all’attenzione internazionale. I due protagonisti della ricerca hanno elaborato un algoritmo che lavora sulle immagini postate dai soggetti in esame sulla piattaforma social arrivando a diagnosticare problemi di depressione con una accuratezza pari al 70% rispetto al 50% di una tradizionale visita medica in cui il paziente è visto in volto dallo specialista. La novità di questa ricerca è data dal fatto che non si basa sul contenuto verbale dei messaggi, come già fatto per chi ha realizzato indagini simili sui profili degli utenti di Facebook e Twitter, ma va ad analizzare una caratteristica propria solo di Instagram, ovvero l’uso del colore personalizzabile per modificare le proprie fotografie prima di postare, pubblicarle in rete. La prima scoperta, quella forse che risulta più una conferma, è che chi soffre di depressione preferisce annegare le immagini in filtri blu, grigio e dalle tonalità scure in genere, anche se la tendenza all’uso dei filtri è molto minore nei soggetti depressi di quanto non lo sia in quelli non a rischio. Anche il volto è considerato una caratteristica predittiva per l’algoritmo di Reece e Danforth. I depressi tendono a pubblicare più immagini che hanno per soggetto volti umani ma il numero di persone ritratte nelle loro foto è percentualmente più basso di quelle postate negli scatti degli altri. I ricercatori si sono poi soffermati sulle attività messe in atto dai soggetti una volta postate le immagini. Dalle loro analisi è risultato che i depressi passano molto più tempo online dei soggetti non depressi con la conseguenza che ottengono più commenti alle loro foto ma, in maniera inversamente proporzionale, riscuotono meno “like” di quelli pubblicati dagli altri. Quest’ultimo dato è indice del fatto che un loro post (ovvero messaggi pubblicati in internet) viene istintivamente percepito dalla comunità online come meno vivace e più triste di altre foto.